“Venere e Marte” di Botticelli (1482-1483)

Il sonno di Marte

“Venere e Marte” di Botticelli (1482-1483)

            Il dipinto di Botticelli  “Venere e Marte” dovrebbe rappresentare la scena di due amanti che si sono nascosti  in un bosco per fare l’amore all’ insaputa di Vulcano, il marito di lei. Stando al mito, Febo scopre la tresca, e fa la spia a Vulcano, il quale li coglie in fragrante durante un loro incontro furtivo e li mette in ceppi o li intrappola in una rete. A una lettura superficiale, Marte sembra dormire. Cercherò di approfondire da un punto di vista psicoanalitico questo atteggiamento davvero singolare di Marte con Venere.

         Innanzitutto bisogna domandarci chi è in realtà questa bellissima Venere distesa sul prato che sta guardando beata il suo amante caduto nel sonno. Venere, nella sua vita terrena, nell’ambiente fiorentino di quel tempo, era per tutti la giovanissima Simonetta Cattaneo Vespucci (sposata a sedici anni con Marco Vespucci), amante di Giuliano dei Medici (Aby Warburg ha fatto notare che nel dipinto c’è un chiaro riferimento ai Vespucci nell’immagine delle vespe). I Medici (ma anche i Vespucci) dettero vita a un’imponente operazione culturale e artistica di maquillage su Simonetta sia in vita, ma soprattutto dopo morte: cancellarono la sua condizione di adultera trasformandola, attraverso l’idealizzazione della sua bellezza, in una sorta di divinità, fino a farla assurgere in cielo. Lorenzo il Magnifico, appena morta la immaginò comparire nel cielo come una stella luminosa che compete col sole (1). Questo annullamento della donna nell’ideale la rende inattingibile e chiusa in sé. Simonetta-Venere in questo dipinto del Botticelli è talmente bella da essere diventata un “ideale” della bellezza e perciò non può più concedersi ad una  relazione amorosa: essa sembra essere in contatto con qualcosa che è fuori dal tempo (oltretutto Simonetta è morta da più di quindici anni). (2)

         E cosa può avvenire nella mente di un amante di questa donna? Quando la bellezza è troppa, finisce con l’incutere rispetto e può anche arrivare a far fa paura (3 ). In questo caso il timore proviene anche dal legame con gli ideali culturali dell’ambiente umanistico della Firenze del tempo. Lo stesso anno in cui venne commissionata a Botticelli La Primavera, Marsilio Ficino (Botticelli era amico di tutti i filosofi dell’Accademia neoplatonica di Firenze) aveva inviato a Lorenzo di Pierfrancesco (cugino di Lorenzo dei Medici, allievo di Poliziano che divenne mecenate del Botticelli) appena tredicenne, una lettera che conteneva un’esortazione morale in forma di oroscopo allegorico, in cui chiedeva all’ adolescens di fissare i suoi occhi su Venere, che rappresenta l’ Humanitas. Queste Veneri di Botticelli sono dunque il prototipo di una donna che condensa la formulazione umanistica letteraria e filosofica dell’ideale morale della bellezza: un’immagine sensuale, ma mai carnale.

         A son di rincarare le dosi di questo appesantimento morale, la soave Venere mitologica dei sogni erotici che noi conosciamo, finisce col subire un vero e proprio switch:  Venere si trasforma inun’ altra, una donna ancora più temibile per Marte. Per capirlo bisogna osservare il troneggiante giavellotto da torneo nel dipinto che abbiamo di fronte e andare al torneo della giostra che si svolse a Firenze nel 1475. Il torneo servì a rinsaldare il prestigio politico dei Medici e fu anche l’occasione dell’esibizione in pubblico della relazione amorosa tra Giuliano e Simonetta, entrambi ventiduenni. Fu proprio il Botticelli a dipingere lo stendardo col quale Giuliano gareggiò nella giostra che lo vide vincitore: al centro dello stendardo (perduto) c’era l’immagine di Pallade che guarda verso il sole; ai suoi piedi l’epiteto: La sans par, cioè Simonetta Vespucci. Il Poggi riferisce un particolare dello stendardo che fa intravvedere la controfigura di Giuliano nell’immagine di Pallade/Simonetta: “La dea tenea nella mano diritta una lancia da giostra (questo è un aspetto fondamentale per il riconoscimento dell’identità del cavaliere Giuliano) et nella mano mancha lo scudo di Medusa “. Dunque Giuliano è diventato Minerva (4).  

Prima domanda: ma Simonetta non doveva essere Venere? Come mai è diventata Pallade?  Pallade (Atena, Minerva) è quella dea che è nata dalla testa di Giove armata di tutto punto e rappresenta la forza e la sapienza del governo dei Medici. Botticelli conosce bene il significato di questa figura. Nel dipinto di Botticelli Pallade e il Centauro il volto della dea vestita di sete trasparenti ma armata di alabarda che ammansisce gli istinti animaleschi del Centauro richiama i tratti di quella bellissima donna di ineguagliabile bellezza, che è “La Venere” .

La spiegazione di questa  trasformazione è nelle Stanze, il poema incompiuto che Poliziano scrisse per celebrare la vittoria di Giuliano (aulicizzato nel latino Iulio) nella famosa giostra di cui abbiamo accennato.

Qual è la trama delle Stanze ? Iulio è un feroce cacciatore, è somigliante a Marte ((pur mo’ lo vidi si feroce a caccia..Tal vid’io te là sovra el Termodonte, cavalcar, Marte..), schivo ad ogni lusinga d’amore. Cupido si intestardisce a volerlo fare innamorare e trasforma una bianca cerva che sta inseguendo nel bosco in Simonetta. La bellezza di lei è fatale. Il cacciatore si innamora perdutamente della sua preda. Ma nelle modalità in cui viene percepita la straordinaria bellezza della giovane preda, è tracciato un processo di  trasformazione che finirà col prodursi anche in Iulio: Poliziano infatti insiste sulla castità di lei (“la bianca cerva”, “la bianca veste”). Le armi sono un tutt’uno con la castità di questa ninfa/dea (“Sei tu la mia Diana”; e ancora: Sembra Minerva se in man prende l’asta;/ se l’arco ha in mano, al fianco la faretra/ giurar potrai che sia Diana casta”).

Dopo aver fatto innamorare Iulio, Cupido se ne torna soddisfatto dalla  madre Venere nell’isola di Cipro. Lì trova la madre che giace con il vero Marte. Questa è la scena dell’amore vero, consumato, tra i due dei. Marte è abbandonato sul grembo di Venere (proprio come in Lucrezio, all’inizio del primo libro del De rerum natura); gli amorini fanno cadere rose su di loro, ma la caducità del desiderio (la rosa in Poliziano rappresenta la caducità) è solo in realtà una breve pausa perché Venere lo rieccita continuamente con i suoi baci. Cupido partecipa a quest’amplesso, anzi stimola Marte baciandolo a sua volta. Espone alla madre il suo desiderio di completare l’opera facendo innamorare Simonetta.

            Ma Venere gli fa capire che ha un piano diverso da quello della conquista amorosa. Ella  sembra aver acquistato dalla coniunctio con Marte uno spirito guerriero e impedirà al figlio Cupido di compiere l’opera, tendendogli un trabocchetto: vuole che Iulio torni ad essere un guerriero per vincere nella battaglia che l’aspetta. L’amore è stato solo un espediente per rinforzare l’animo guerriero e motivarlo alla vittoria. Con l’aiuto del dio Sonno, manda a Iulio un sogno (sappiamo che Poliziano aveva chiesto al Botticelli di dipingere questo sogno) attraverso il quale viene realizzato il progetto di soppressione e stravolgimento del desiderio erotico. Nel sogno Simonetta lega all’olivo, simbolo di Minerva, Cupido che è finito per diventare un meschinello rappresentante della  “lussuria e quel furore che la meschina gente chiama amore” e si trasforma in dominatrice e guerriera, pronta per combattere nel torneo, vestita con l’armatura di Pallade: in una mano la lancia da torneo, nell’altra lo scudo con la testa della Gorgone ((“Pargli veder feroce la sua donna, tutta nel volto rigida e proterva.. armata sopra alla candida gonna,/ che il casto petto col Gorgon conserva”).  

            In un primo momento Iulio è spaventato da questa visione (ciò può corrispondere sul piano psicologico ad uno stato di impotenza dell’uomo quando proietta aspetti fallici o castranti sulla donna ). In un secondo momento lo choc verrà superato attraverso un’identificazione: questa donna  guerriera diventerà Iulio stesso. Infatti arriva la Gloria che toglie a Simonetta le armi lasciandola in bianca gonna, per rivestirne Iulio. In pratica, Iulio sogna il suo stendardo per il torneo: subentrato a Simonetta dentro le terribili armi di Pallade, alza gli occhi al sole della gloria. Così attrezzato affronta la battaglia.

            Ed ecco la seconda domanda: ma Iulio non doveva essere un uomo, e per di più Marte? Torniamo allo stato di sonno apparente nel quale sembra immerso Marte e seguiamo il percorso di una fantasia ottimistica. Potremmo pensare che sogni Simonetta che è di fronte a lui (Simonetta è stata davvero un sogno per Iulio quando l’ha incontrata nel bosco). Si è spogliato delle sue vesti guerriere ed è diventato il proprio opposto: assume una posizione abbandonata, passiva, femminile. L’anima ha preso il posto dell’animus. Ha visto bene Marco Paoli  l’atteggiamento impotente dell’amante. Per terra ci sono tutte le armi fulgenti del torneo. A chi appartengono in realtà quelle armi? Il destino di Iulio è nelle mani di Venere, ma le armi sono di Atena. Come nelle Stanze Simonetta aveva assunto un’armatura bellica, ora Iulio/Marte assume sembianze femminili. Venere lo guarda, pensosa. Tuttavia sembra fare da cornice del processo e da contenitore partecipe, consapevole di quello che sta succedendo a Iulio. In quanto Venere, Simonetta è lontana, nel  suo palazzo di Cipro, distante da Iulio, ma non distaccata da lui: dal luogo in cui si trova, sta guidando tutto lo svolgimento del dramma. La sua mente è nel palazzo di Cipro dove sta godendo dell’amplesso con il vero Marte. Nella scena del dipinto c’è solo un suo simulacro “didattico”, imperfetto (monco di una gamba). Il centro della scena non è lei, ma Iulio e il mistero di quello che sta succedendo a lui: per questo l’ambiente è privo di fiori e così spoglio di grazia. Questo Marte-Iulio è completamente preso dalla visione onirica di lei: è questo il  mondo in cui è chiuso, un mondo autoerotico, completamente isolato dall’esterno. E’ ciò che accade quando l’uomo deifica (fa diventare Venere) una donna: la divinità (oggetto idealizzato) si impossessa di lui, lo spossessa della propria identità (è lo stato spossato e senza vita rappresentato nella posizione di Marte nel dipinto). Una relazione maschile-femminile in questo stadio è impossibile.  Iulio ha abbandonato tutta la distruttività di Marte ma con essa anche la sua potenza maschile, la sua capacità di differenziarsi rispetto al femminile. Si potrebbe pensare ad una regressione ad uno stato fusionale primario, una sorta di morte dell’Io. Marte-Iulio è steso nudo sopra la sua corazza, impenetrabile a qualsiasi stimolo reale perché è caduto prigioniero di un sogno allucinatorio, più potente del desiderio reale o di qualsiasi stimolo di realtà. Allucina Simonetta che pare aspettare imperturbata la fine del sogno dell’amante. Questo potrebbe somigliare a quello che accade nella prima parte delle Stanze.

Il sonno fisiologico è transitorio. La domanda dunque è: vista l’abissale profondità di questo “sonno” (come appare nel dipinto), Marte sarà capace di risvegliarsi, di risvegliare i suoi sensi e di riprendere la sua ragione? Venere non appare affatto preoccupata di questo. Pare osservare l’evento con una bell’indifference, come se si trattasse di una crisi transitoria, qualcosa che conosce bene dell’amante. Tuttavia questo Marte perché non dorme steso sul suo grembo come nel palazzo di Cipro, bensì se ne sta per conto suo, riverso sulla sua corazza? Perché lei non appare per niente offesa da questo comportamento del suo amante? Tutti questi interrogativi possono essere sciolti se possiamo rispondere all’interrogativo principale: cosa succederà al “risveglio”?

            In questa ipotesi ottimistica (in sintonia con l’opinione di molti critici che leggono in Botticelli il contrasto tra il mondo degli istinti e quello della civitas) si potrebbe pensare che Venere abbia un piano “psicologico”: che abbia provocato questo annullamento della distruttività di Marte come un modo per poter stare insieme, una relazione di presenza e di attesa che è un prerequisito per la coniunctio. È chiaro infatti che finché Marte non riprende la sua identità maschile e il suo giavellotto-pene, non potrà avere alcuna reale coniunctio con Venere. Ma prima deve avvenire una sorta di morte (purificatio) dei suoi potenti e terribili impulsi distruttivi che impedirebbero qualsiasi forma di amore reale (che non fosse idealizzata). Al risveglio l’identificazione fusionale con la donna avrà prodotto in lui una bonificazione degli istinti aggressivi che potrà sublimare nella relazione amorosa e nella conoscenza di lei (solo allora i suoi occhi potranno sostenere la visione reale della donna dinnanzi a sé). Questo è ciò che dovrebbe accadere nel normale sviluppo psicologico della relazione maschile/femminile, contenitore/contenuto.

            Ma in questa Firenze, tra queste famiglie e questi amici colti dei Medici tira aria densa di neoplatonismo e di iconografismo araldico. La centralità del giavellotto da torneo in questo dipinto ci porterebbe a pensare all’evoluzione del racconto delle Stanze: Iulio/ Marte si “sveglierà” e invece di ricercare Venere, indosserà le armi che, paradossalmente, scoprirà appartenere all’amata Atena. Così si ritroverà completamente identificato con lei e farà della sua castità (astinenza) una forza spirituale superiore e una virtù guerriera.  Non ci sarà nessuna coniunctio.  Anzì, sentirà che differenziandosi come maschio sarebbe stato in balia di una donna- Gorgone, che avrebbe potuto pietrificarlo. Dunque, al risveglio, nella migliore delle ipotesi Marte ritroverà il suo spirito guerriero, e andrà a combattere. 

            E vediamo l’ipotesi pessimistica che il sonno sia così profondo che Marte-Iulio non possa più svegliarsi.

            Questa interpretazione  a una prima occhiata parrebbe contrastare col frenetico e giocoso movimento che c’è intorno a Marte. I satiri si stanno molto divertendo con le sue armi. Questo motivo pittorico Botticelli lo ha preso da un testo classico: la descrizione di Luciano di Samosata del dipinto di Aezione raffigurante le nozze di Alessandro e Rossane (5 ). La descrizione di questa scena era molto conosciuta nell’ambiente del tempo, tanto che ispirerà quasi puntualmente l’omonimo affresco “Le nozze di Alessandro e Rossane”  del senese Sodoma del 1519 di Villa Farnesina a Roma.

             Leggiamo Luciano: “ E’ dipinto un talamo bellissimo, ed un letto nuziale (come ci riferisce Marco Paoli il dipinto in effetti fu commissionato al Botticelli per la camera da letto nuziale di Lorenzo di Pierfrancesco de’Medici e Semiramide Appiani )… Rossane è seduta, venustissimo fiore verginale…in un altro piano del quadro altri amorini scherzano con le armi di Alessandro: due portano la sua lancia, imitando i facchini quando portano una trave pesante;due altri, messosi uno a sedere su lo scudo in atto da re, lo trascinano, tirando lo scudo per le corregge; ed un altro, ficcatosi nella corazza che giace per terra, pare vi si sia appiattato per fare un bau e una paura a quelli che trascinano lo scudo quando gli verranno vicino. Non li dipinse per ischerzo, né per capriccio Aezione, ma volle indicare l’amore di Alessandro per la guerra, e, come, mentre ama Rossane, non si dimentica delle armi. E questo fu un quadro veramente nuziale, perché conchiuse il maritaggio tra Aezione e la figliola di Prossenide..”

            C’era  un altro testo classico sugli amori tra Marte e Venere che circolava negli ambienti colti della Firenze dell’epoca: era il poemetto di Reposiano De concubitu Martis et Veneris. Reposiano in questo poemetto così descrive il post coitum di Marte:

            “Iam languida fessos/ forte quies Martis tandem compresserat artus ;/ non tamen omnis amor, non omnis pectore cessit /flamma dei:/ trahit in medio suspiria somno/ et Venerem totis pulmonibus ardor anhelat” (v. 115) (Ormai una languida quiete aveva vinto alla fine il corpo stanco di Marte; tuttavia non tutta la passione, non tutto il desiderio lasciarono il petto del dio: trae sospiri nel sonno e, con tutta l’intensità del suo respiro, la passione brama Venere).

Dunque in Reposiano  (ma anche nelle Stanze nella scena di Marte che dorme sul seno di Venere) il desiderio sessuale si alimenta nel sonno e in Luciano/Aezione gli amorini giocano con le Armi di Marte non quando “dorme” (come avviene nel dipinto di Botticelli), ma proprio quando è in atto di fare l’amore con lei: cioè le armi, depotenziate del loro potere distruttivo e investite libidicamente attraverso il gioco amoroso, vengono integrate come elemento necessario (virilità) nella relazione sessuale dell’uomo con la donna.

            Cosa succede invece nel dipinto del Botticelli?  Innanzitutto gli amorini, come ben nota Marco Paoli, vengono sostituiti dai satiri, che hanno a che fare con una dimensione orgiastico-dionisiaca e non con la relazione amorosa. Il “sonno” di Marte non è il sonno di Reposiano, un sonno virile, in cui sono mantenuti i desideri sessuali nei confronti della donna, bensì un sonno fusionale come abbiamo visto, cioè panico, orgiastico, nel quale la donna è un tutt’uno con sé e il piacere è esclusivamente autoerotico: aspetto centrale questo del dipinto che ha magistralmente colto Marco Paoli e sul quale nessun altro prima di lui si era soffermato. Ecco perché Marte non si sveglia dal sonno nemmeno col potente soffio della bucina che gli manda nelle orecchie un satiro: non c’è nessuna Venere davanti a lui che può svegliarlo, nessuna relazione erotica da ricercare o da ricordare. Venere è lui stesso, le armi a terra sono le armi di Pallade. Ma la condizione orgiastica, come sappiamo, ha esiti mortiferi.

            Se guardiamo attentamente il dipinto ci accorgiamo di questi elementi tristi e mortiferi, contropolari dell’idealizzazione, che sfoceranno negli sviluppi drammatici della pittura botticelliana pochi anni dopo (La Calunnia è di cinque- sette anni dopo). Il broncone sull’elmo, simbolo di rinascita nell’iconografia dei Medici (6 ) non sembra verde, non sembra infiammato. Inoltre nel paesaggio intorno, come nota il Paoli,  non c’è nessun fiore, nessun simbolo di Venere. Da dove può prendere forza e stimolo  il dormiente per svegliarsi da questo sonno?

            Dal canto suo anche Venere-Simonetta sembra chiusa in un isolamento speculare di quello di Marte-Iulio. Se guardiamo bene infatti, non c’è niente che possa connotarla come amante. Non ha nessun moto verso Marte; accenna ad un sorriso, ma quel sorriso sembra rivolto a se stessa; è piegata su un gomito, adagiata nel suo bianco abito di casta sposa  i cui ampi panneggi servono per occultare la mancanza di una gamba: la percezione di questo difetto si riversa sulla bellezza del dipinto e ne accompagna il godimento estetico come un’ombra (mi sono venute in mente certe bellissime donne adagiate in questa posizione sul coperchio dei sarcofagi nel camposanto monumentale di Pisa. Tra l’altro ho letto che Botticelli nel 1474 si era recato in questo camposanto perché gli era stato commissionato una pala e un ciclo di affreschi, che peraltro non eseguì mai. Inoltre nel soggiorno romano (1480-1482) la visione diretta dei sarcofagi antichi lo aveva stimolato molto).

            Il difetto della gamba rimanda ad uno stato di sconvolgimento della mente di Botticelli. Osservando l’espressione sconvolta del volto di Marte l’ombra pare farsi più densa. Il mistero di quest’ombra è tutto racchiuso nel racconto di Poliziano del sogno di Iulio, che forse è lo stesso sogno di Marte nel dipinto. La Gloria appare nel sogno a Iulio e gli fa indossare le armi di Pallade che prima aveva indossato Simonetta.  Ma in questo preciso momento in cui Iulio diventa un guerriero per la Gloria, perde Simonetta, ha la premonizione della sua morte: “Poi Iulio di suo spoglie armava tutto, / e tutto fiammeggiar lo facea d’aura; quando era al fin del guerreggiar/ condutto, al capo gl’ intrecciava oliva e/ lauro.  Ivi tornar parea sua gioia in lutto:/vedeasi tolto il suo dolce tesauro,/vedea suo ninfa in trista nube avolta, /dagli occhi crudelmente esserli tolta”  -34-  “L’aier tutta parea divenir bruna,/ e tremar tutto dello abisso il fondo;parea/ sanguigno el cel farsi e la luna, e cader/ giù le stelle nel profondo”.

            Concludo mostrandovi un ritratto del Botticelli di Giuliano dei Medici datato 1478-1480 (di poco precedente Venere e Marte). Molti particolari che non sto qui ad elencare di questo ritratto hanno fatto pensare vari Autori (7 ) che possa trattarsi di un ritratto post mortem eseguito forse con l’aiuto di una maschera funeraria. 

            Con nella mente questa suggestione, torniamo ad osservare nuovamente la postura e l’espressione del volto di Marte. Quando  Botticelli dipinge la tela, i due personaggi che impersonano “Marte” e “Venere” sono entrambi morti. Giuliano è morto da un lustro e Simonetta è morta due anni prima di lui, appena un anno dopo la famosa giostra di Giuliano. Sul dipinto non aleggia soltanto la morte di Simonetta, la donna amata dal pittore, ma anche la morte dell’amante, cioè di Botticelli stesso proiettato sulla figura di Marte. La morte di Simonetta non provoca quell’evoluzione  gioiosa che è nelle Stanze: la  Simonetta di Botticelli non diventerà, appena morta, la Fortuna (8 ) che guida la vita dell’eroe (una fortunata perdita!). Da un aldilà imperturbabile assiste al sonno di Marte. Ma, come abbiamo visto, non si tratta di un vero e proprio sonno, bensì di uno stato di sconvolgimento mentale, di spossatezza estrema e di angoscia in cui non solo gli istinti sessuali ma anche quelli aggressivi sono perduti: né la bellissima donna di fronte a sé, né la frenesia dei satiri e il richiamo delle armi potranno risvegliare Marte/Botticelli da questo sonno infinito.

            Concludo ringraziando Marco per avermi offerto con questo libro  l’occasione  per una riflessione sul sentimento erotico nella vita, Senza il suo disvelamento dissacrante e arguto del lato impotente che si nasconde nel personaggio rappresentato da Marte, il dipinto stesso di Botticelli avrebbe perso di risonanza profonda, e di forza di verità.

NOTE:

  1. O chiara stella, che coi raggi tuoi togli alle tue vicine stelle il lume..Perché con Febo ancor contender vuoi?..”
  2. Tutte le figure e i ritratti di donna del pittore in cui si è voluto vedere raffigurata Simonetta, sono in realtà post mortem di lei e non hanno alcuna relazione con una donna reale. Nemmeno il ritratto di Piero di Cosimo di Simonetta Vespucci come Cleopatra è un ritratto di lei, perché il nome di lei è stato apposto un secolo dopo.
  3. Amore e timore della bellezza” è il titolo di un famoso libro dello psicoanalista Donald Meltzer (Borla,Roma,1989).
  4. Come osserva anche S. Settis, “Citarea su una impresa di bronconi” , Journal of the Warburg and Courtauld institutes, vol 34, 1971 pag. 135-177.
  5. E’ riportata nel capitolo su Erodoto delle sue Opere, vol 2, trad. Luigi Settembrini.
  6. Il Vasari racconta che Giuliano avrebbe vestito l’emblema del broncone sopra l’elmo, “dinotando per quella che, ancora che la speranza fusse dello amor suo tronca, sempre era verde, e sempre ardea, né mai si consumava”.
  7. Cfr. Paola Giovetti, “La modella del Botticelli, Simonetta Cattaneo Vespucci simbolo del Rinascimento” , Ed. Mediterranee, 2015 e  Monica Centanni ,“ Fantasmi dell’antico..”,  Guaraldi 2017.
  8. Nel poema del Poliziano non sembra esserci alcuna soluzione di continuità: Simonetta è morta, ma non è perduta perché subito rinasce come Fortuna:

“ L’aier tutta parea divenir bruna,
e tremar tutto dello abisso il fondo; parea
sanguigno el cel farsi e la luna, e cader
giù le stelle nel profondo.
Poi vede lieta in forma di Fortuna surger
Sua ninfa e rabbellirsi il mondo, e prender
Lei di sua vita governo,
e lui con seco far per fama eterno.”